Prima parte del viaggio nel capoluogo lombardo sede di una prestigiosa Università e di un polo ospedaliero di fama mondiale, oscurati da una politica urbana ignava. La rigenerazione deve partire dai servizi pubblici
Pavia, che all’1 gennaio 2016 contava 72.576 residenti (oltre duemila in più rispetto al 2007), viene presentata nel PGT (Piano di Governo del Territorio) come una “città di eccellenze”, sede di un ricco patrimonio storico e culturale, di una prestigiosa Università e di un polo ospedaliero (che comprende il Policlinico San Matteo, la Fondazione Salvatore Maugeri e l’Istituto neurologico Casimirro Mondino) di fama mondiale. L’Università e gli Ospedali hanno il merito di essere in grado di attirare grandi quantità di persone da fuori città, anche dalla vicina Milano, in aggiunta ai luoghi simbolici della cultura pavese come il Teatro Fraschini e il Castello Visconteo, che però ospitano molti visitatori soltanto in caso di eventi importanti.
Pavia, oltre ad essere una città ricca di storia e cultura, ha vissuto anche una parabola industriale di grande rilevanza. Negli anni d’oro, il settore manifatturiero era trainante a livello nazionale con oltre 19.000 addetti spinti dal settore metalmeccanico (la Necchi copriva il 55% del prodotto nazionale ed oltre il 60% degli addetti). L’inesorabile crisi dei decenni successivi ha ridimensionato il ruolo di Pavia nello scacchiere economico italiano, con varie amministrazioni succedutesi ma non in grado di mettere in campo politiche economiche ed urbane organiche e lungimiranti, limitandosi a lasciare in eredità ai cittadini una città ancora da rigenerare, caratterizzata da enormi vuoti urbani ed un centro storico non attrattivo quanto potrebbe esserlo.
Ultima in ordine di tempo, la giunta capeggiata da quasi tre anni dal sindaco Massimo Depaoli sta provando a dare l’ennesima spinta al rinnovamento urbano della città, con la recente approvazione di una variante al PGT, firmato nel 2013 dall’amministrazione Cattaneo (e atteso per ben otto anni dopo l’entrata in vigore della Legge regionale 12/2005 che ne prevedeva la dotazione da parte dei comuni entro il 2009). Anche in questo caso, non sembra poter essere uno strumento risolutivo per portare la città verso il necessario rinnovamento. Un tema sul quale la giunta ha voluto puntare è infatti l’aumento delle volumetrie (con possibilità di arrivare fino a 8 o 10 piani fuori terra) per le abitazioni da realizzare in aree in trasformazione o dismesse, che per altro vantavano già indici di edificabilità già abbastanza alti, nella speranza di renderle più appetibili agli investitori. Nell’attuale periodo di profonda crisi, non più adatto alle grandi operazioni immobiliari, ci si aspettava quindi maggiori risposte riguardo alla valorizzazione dei servizi esistenti e del centro, dove permane la discutibile possibilità di realizzare parcheggi sotto i monumenti e i palazzi storici. Nel frattempo, non è stata di poco conto l’occasione persa da tutta la città con il ritiro degli investitori cinesi del Pavia Calcio, i quali parevano intenzionati a rigenerare l’area periferica dello stadio Fortunati a ridosso dell’ex Necchi.
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La pianificazione urbana ieri
A testimonianza del disordine amministrativo vissuto nell’ultimo secolo, Pavia si è sviluppata soltanto con tre strumenti di pianificazione generale. In questo modo la città è cresciuta in maniera disordinata, perdendo anche le caratteristiche legate alla sua storia, alla sua morfologia ed al suo paesaggio. Difatti lo sviluppo degli insediamenti ha seguito più la modalità delle conurbazioni che non quella di una città pianificata, realizzando quartieri periferici poi rivelatisi non in grado di confrontarsi in maniera adeguata con il tessuto agricolo ed urbano circostante. Un esempio ne è l’area del Cravino, concepita da Giancarlo De Carlo negli anni settanta, dove sono ospitati il polo scientifico dell’Università, il Mondino e la Fondazione Maugeri e che, situata al di là della tangenziale ovest, è di fatto un pezzo di città a se stante.
Dal punto di vista storico, la pianificazione urbana ha preso le mosse nel 1903, anche se il primo Piano regolatore è datato 1914. I forti cambiamenti demografici ed economici, dovuti anche all’insediamento del Policlinico San Matteo (nel 1932), portarono alla redazione del Piano dell’Ufficio Tecnico adottato nel 1938 e reso esecutivo con la legge n°1186 nel 1941, dando vita al primo vero strumento urbanistico organico vigente. Grazie a diverse deroghe, il piano resterà in vigore fino al 1956, con gravi conseguenze per la città a causa dell’arretratezza dello strumento. Seguirono poi i PRG redatti rispettivamente da Luigi Dodi (1956-1963) e da Giuseppe Campos Venuti e Giovanni Astengo (1976). La storia recente ci porta poi al Piano di Gregotti Associati (2002) che, per la prima volta, affronta ipotesi di ampio respiro riguardo alla viabilità urbana e delle tangenziali, nonché il tema dei grandi siti industriali dismessi, producendo delle schede normative vincolanti, con dettaglio planivolumetrico di tutte le superfici.
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L’Università e i poli ospedalieri
Il cuore dell’economia pavese è rappresentato da tutto ciò che gravita attorno all’Università e ai poli ospedalieri. L’ateneo, per buona parte vero cuore pulsante del centro storico, conta infatti oltre 21.000 iscritti ai corsi di laurea: il 30% della popolazione urbana. Proprio per questo, sarebbe fondamentale potenziare le strutture a servizio degli studenti, prevedendo nuove soluzioni insediative dedicate esclusivamente ai fuori sede, quali alloggi a prezzi agevolati e strutture sportive a basso prezzo. Sarebbe in ogni caso saggio portare tali funzioni nel centro storico e non in lottizzazioni di cui una città che vanta il 16% del proprio patrimonio immobiliare disabitato non avrebbe bisogno.
Anche le strutture sanitarie hanno un ruolo fondamentale nell’economia cittadina, con un’estensione territoriale complessiva superiore ai 500.000 mq. Da tutta Italia e dall’estero i pazienti sono ospitati (spesso insieme ai congiunti per l’assistenza) nelle strutture sanitarie pavesi, tra le quali spicca il nuovo DEA del Policlinico inaugurato nel 2013. Sarebbe opportuno quindi integrare e potenziare i servizi a sostegno degli accompagnatori dei degenti, con strutture e aree verdi.
Resta indifferibile l’esigenza, da parte di una città come Pavia, di investire fortemente nel sistema del welfare urbano perché, se si punta sui servizi pubblici rendendoli efficienti, questi generano a loro volta un’economia che va molto al di là degli addetti impiegati nelle varie attività, determinando in maniera sensibile la capacità attrattiva di un sistema urbano. Un buon investimento sarà il “Campus della Salute” che trasformerà una vecchia ala del San Matteo in un moderno campus universitario, finanziato da Università e Regione Lombardia, dedicato ai futuri medici con 8.600 mq di superficie, 12 aule studio capaci di ospitare 260 studenti e una biblioteca con sale lettura (166 posti) e 3.300 metri di scaffali per ospitare la biblioteca unificata di medicina.
Seconda parte del viaggio nel capoluogo lombardo alla scoperta delle strategie di riqualificazione. Tra il Piano urbano per la mobilità sostenibile, il progetto di un polo multifunzionale e la valorizzazione del patrimonio
Il nodo della mobilità
Pavia è città dalla forte vocazione per la mobilità su due ruote e con i mezzi pubblici. Proprio per questo riveste importanza strategica la proposta preliminare del PUMS (Piano urbano della mobilità sostenibile) recentemente approvata. La più importante modifica alla mobilità prevista in futuro, rilanciata dal sindaco lo scorso dicembre a margine dell’approvazione del documento, è quella del recupero del progetto del tram leggero, che vorrebbe sfruttare il tratto urbano di binari proveniente da Codogno che entra città a est da Porta Garibaldi e arriva fino alla stazione FS.
Anche il completamento della rete delle piste ciclopedonali assume un ruolo chiave nella strategia futura della pianificazione della mobilità cittadina, al fine di permettere collegamenti lungo le direttrici che portano dal centro alla periferia, dando la possibilità di poter preferire la bicicletta ai mezzi motorizzati, sia pubblici che di proprietà (come già succede nel centro storico). Manca infatti ancora un sistema di percorsi e piste ciclabili di valenza naturale e storica che porti all’interno della città la Greenway Milano-Pavia-Varzi. Il tracciato ideale, che si sviluppa tra le province di Milano e Pavia, è di 112 chilometri ma, ad oggi, si perde subito dopo l’ingresso in città.
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L’importanza delle vie d’acqua
Pavia è anche città dalle forte valenze ambientali. Fondata sul Ticino, la presenza dell’acqua è sempre stata di fondamentale importanza nello sviluppo urbano. Il rapporto con il fiume, che è la ragione stessa dell’esistenza della città, appare evidente attraverso le relazioni che si sono sviluppate nella storia come testimonia ad esempio il celebre Ponte Coperto. Lo testimonia anche l’ex Idroscalo, pregevole architettura appoggiata sul Ticino inaugurata da Benito Mussolini in persona nel 1926, per la quale qualcosa si sta muovendo grazie ad un investimento da 4 milioni in un progetto, ad opera dell’architetto pavese Luisa Marabelli, per la conversione in polo turistico-culturale.
Nel corso dei secoli si è poi aggiunto il sistema dei navigli e dei canali, che costituisce una delle caratteristiche peculiari e un riferimento identitario per tutta la Lombardia. La struttura del Naviglio Pavese insieme al corso della ferrovia, hanno favorito lo sviluppo, lungo il loro corso, di poli industriali come la Necchi o la SNIA-Viscosa, e di servizio al commercio. Il sistema del Naviglio è quindi un elemento che in città pone in relazione edifici storici, percorsi paesaggistici e sistemi del verde, anche attraverso la presenza dei manufatti per la regolazione delle acque, sebbene oggi rimanga un luogo di separazione e non di ritrovo e rivitalizzazione, soprattutto nell’area degradata del confluente. Proprio per questo uno degli obiettivi fondamentali del PGT, indicato nel Documento di piano, consiste nella valorizzazione e rifunzionalizzazione delle sponde del Naviglio (e in altre zone, del Ticino), che devono assumere il ruolo di nuove infrastrutture destinate al tempo libero, come aste collettive che si integrano al sistema delle strade e piazze storiche, da sempre luoghi d’incontro per i cittadini. Una buona opportunità per la rivitalizzazione del Naviglio è rappresentata dal progetto del completamento dell’idrovia Locarno-Milano-Venezia, recentemente tornato in auge grazie ai progetti delle vie d’acqua legati ad Expo 2015, e che dovrebbe avere in Pavia una tappa importante nel proprio sviluppo futuro.
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Una città nel bosco
La superficie complessiva del verde fruibile, cioè quella parte di verde pubblico o privato ad uso pubblico, direttamente utilizzabile, a Pavia è molto elevata. A testimonianza dell’alto benessere ambientale, vanno aggiunte poi le aree agricole, il Parco Agricolo del Ticino e il Parco Visconteo.
Risulta tuttavia rilevante la mancanza di un disegno unitario delle aree verdi. Infatti, allo stato attuale esistono stralci di verde pubblico in un sistema frammentato che non ha la capacità di coprire il territorio in modo strutturato, trattandosi per lo più di spazi di risulta all’interno del tessuto edificato. Per ovviare a questo problema, l’attuale amministrazione intende aumentare la quota di verde pubblico, anche acquisendo aree da privati in cambio di diritti edificatori nelle aree dismesse e di trasformazione. Una delle grandi astrazioni del PGT, della quale si sono perse le tracce, aveva però un respiro ancora più ampio e prevedeva la realizzazione a scala urbana di un bosco di cintura urbana che, oltre alla valenza di servizi ecosistemici, perseguirebbe la finalità di ricomposizione paesaggistica dei margini urbani per dare a Pavia la nuova aggettivazione di “città nel bosco”.
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Quale futuro per i vuoti urbani?
La nota dolente per Pavia è quella dei vuoti urbani ereditati negli ultimi decenni, ai margini degli abitati storici, principalmente dalla dismissione dei siti industriali, ancora oggi nodo irrisolto della pianificazione urbana. Un sesto di città (85 ettari circa) risulta a tutt’oggi l’estensione delle aree dimesse NeCa (80.000 mq), Necchi (con annesso lo scalo ferroviario – 400.000 mq complessivi), Snia (174.000 mq), Dogana (130.000 mq), Arsenale (140.000 mq) ed Enel, il cui destino è ancora tutto da decidere. Tra costosissime bonifiche non ancora effettuate (Necchi), mal eseguite (NeCa) e vicende giudiziarie di vario genere, ancora non si vedono vie d’uscita. L’unica grande area a non avere ancora conosciuto alcuna ipotesi di masterplan è la Necchi, mentre quella della NeCa risale al 2009 (progetto Studio Fuksas) e quella dell’ex Snia addirittura al 2000 (Studio FOA). Ipotesi progettuali che, seppur affascinanti, ormai risultano obsolete. È invece in via di definizione il progetto del nuovo Arsenale che prevede al suo interno l’archivio della Regione Lombardia, del MiBACT e la futura caserma dei vigili del fuoco, oggi in viale Brambilla. Il masterplan, ancora in fase embrionale, prevede che l’Arsenale sia completamente libero dalle auto, così da rendere pienamente fruibile il corridoio verde che collegherà via Riviera al Ticino, anche in considerazione del recupero del Navigliaccio. Le linee guida stilate dal Comune avrebbero in previsione anche la possibilità d’insediare nuove funzioni quali residenze non più alte di 5 piani in grado di ospitare fino a un massimo di 1.143 nuovi abitanti, asilo e materna, una pista ciclabile, tre strutture commerciali da 600 mq ognuna, nuovi insediamenti produttivi, piccoli negozi e poi parcheggi e laboratori artigianali e di ricerca.
Non mancano anche importanti “vuoti” all’interno della città quali l’ex caserma dei carabinieri di via Defendente Sacchi (ancora invenduta dopo numerose aste andate deserte), l’ex Mondino di via Palestro (11.257 mq dell’Università attualmente preda di degrado e bivacchi) e l’ex clinica Morelli di piazza XXIV maggio, l’ex sede Sip in via Carati, l’ex Banca d’Italia di via XX settembre, l’ex sede della caserma dei Vigili del fuoco di via Porta (9.910 mq), le ex tettoie militari di via Lomonaco (20.000 mq), gli ex magazzini militari di viale XI febbraio (12.600 mq) e l’ex caserma di via Tasso (altri 23.550 mq). Tutte occasioni che amministrazioni, investitori e cittadini dovranno cogliere per dare finalmente una visione strategica al futuro di questa città.