Per fortuna questa volta non c’è scappato il morto!
Gli inequivocabili segnali di cedimenti, scricchiolii, crepe profonde, per una volta sono stati colti e i residenti del palazzo di lungotevere Flaminio a Roma sono stati fatti evacuare poco prima del cedimento dei tre piani poi miseramente crollati.
Oggi, un po’ più a cuor leggero per la fortuita assenza di vittime, ricadiamo nel balletto delle responsabilità; uno o più colpevoli saranno trovati, ma per ora l’unico dato certo è che delle persone si trovano oggi senza più una casa, senza il famoso “tetto sulla testa” che tutti noi vorremmo. Le indagini sono solo all’inizio ma già si stanno delineando ruoli e problematiche; la magistratura ci dirà cos’è successo e presto, ci auguriamo tutti, avremo un quadro completo delle responsabilità.
Io però vorrei portare l’attenzione su altri aspetti, forse marginali per alcuni, ma sicuramente legati al tema principale del crollo avvenuto.
Come conciliare la giusta esigenza di sveltire le pratiche edilizie con la necessità di sicurezza che tutti abbiamo? Dove finisce il bisogno di snellire la burocrazia e dove comincia la ricerca della sicurezza? La politica ormai da anni insegue populisticamente il santo Graal della semplificazione ma è altrettanto evidente che il tema della sicurezza è parte integrante della nostra agenda.
Non possiamo più evitare il problema e dobbiamo cominciare a domandarci se e come gestire quella che è una vera e propria emergenza del nostro paese. I primi accertamenti sembrerebbero dimostrare che per i lavori dell’appartamento del quinto piano sia stata presentata una CILA e che tutto sia regolare; ricordo che la CILA fu una conquista di Federarchitetti quando la politica era pronta ad eliminare ogni tipo di autorizzazione/comunicazione per i lavori interni. Anche in quell’occasione ponemmo l’attenzione sulla sicurezza ed un funzionario intelligente comprese; introdusse un minimo controllo (l’asseverazione di un tecnico) proprio per avere quelle conferme utili a sapere che non si interverrà su parti strutturali.
Pensate, solo per un momento, senza questo minimo “baluardo” – contestato da molti all’epoca – cosa avremmo avuto oggi!
Alcun ricorderanno poi la vicenda del Fascicolo del fabbricato (L.R. 12 settembre 2002, n. 31 e Regolamento regionale 14 aprile 2005, n. 6); la Regione Lazio aveva reso obbligatorio questo documento, dopo altri eventi simili a quello di questi giorni, proprio per conoscere lo stato dei fabbricati. Un ricorso al TAR Lazio chiuse la vicenda e il Fascicolo si trasformò da strumento obbligatorio di analisi ad optional del nulla, un orpello inutile che non interessava a nessuno. La Regione Lazio, infatti, pubblicava sul Bollettino Ufficiale n. 6 del 13.02.2010 la L.R. 03.02.2010, n. 1, modifiche alla L.R. 21/2009, dove si abrogavano le disposizioni inerenti il fascicolo del fabbricato.
Forse è il caso di riflettere su quella vicenda e ritornare su certificazioni di questo tipo; si potrebbe lavorare su incentivi, sgravi ed agevolazioni per incentivare l’adozione del Fascicolo del Fabbricato da parte dei privati che, volontariamente, decidessero di sottoporre il loro edificio ad un check up. Se poi questo introducesse anche una differenziazione degli immobili (valori economici più alti per gli edifici dotati di Fascicolo del Fabbricato) potremmo davvero puntare ad avere un patrimonio edilizio “certificato” sapendo cosa stiamo comprando, come quando pretendiamo una etichetta tracciata sui nostri cibi.
La seconda riflessione riguarda la nostra professione. Vicende come queste scatenano, dobbiamo dirlo, lo sciacallaggio mediatico dei giornali. Improvvisamente una intera categoria si trasforma in una massa di incapaci truffatori pronti a raggirare il cliente di turno; non è così!
I giornali già hanno svolto i loro processi e condannato quelli che ritengono vadano condannati. Le macerie sono, come si dice, ancora fumanti, e già qualcuno conosce i nomi dei colpevoli. Così tutto diventa inutile e lo scoop è nemico della verità. Si lasci lavorare la magistratura, i tecnici facciano le loro indagini e poi sapremo.
Evitiamo di cercare colpevoli ogni giorno e ad ogni titolo di giornale, non ha molto senso e non aiuta il necessario processo di conoscenza che ci racconterà la storia di questo stabile e di come è crollato una fredda notte di gennaio alla luce fioca dei lampioni, quando i residenti infreddoliti assistevano al tracollo dei loro sogni.
Aldo Olivo
membro del Consiglio Direttivo della sezione di Roma di Federarchitetti