“ Nel nostro Paese la debolezza della politica impedisce la formazione e la crescita di una generazione nuova di architetti italiani in grado di lasciare significative e diffuse impronte nelle nostre citta'; ma soprattutto soffoca la stessa sopravvivenza dell’identità culturale italiana, fatta anche di piccole opere, di artigianato, di mestieri, di arti, di tradizioni.
Non è solo l’economia che e' in recessione, dopo un ristagno ventennale, ma l’anima stessa dell’Italia che sta scomparendo”.
Così il Presidente di Assoedilizia risponde a Tomaso Montanari, allievo di Settis, che in un articolo su "Il fatto quotidiano" denuncia quelli che ritiene obbrobri architettonici presenti e futuri, dal Ponte di Calatrava a Venezia, al contenitore dell’Ara Pacis, dal Maxxi di Roma al Crescent di Salerno.
Ma perché – si chiede Montanari - specialmente in Italia, gli edifici progettati dalle cosiddette archistar sono diventati il simbolo di un'architettura insostenibile, nel più ampio ventaglio semantico della parola?
Ribatte, ampliando la portata della riflessione, Colombo Clerici, che prende proprio il caso delle archistars straniere quale emblema della crisi italiana: « Una questione rilevante si pone: esiste una generazione di architetti italiani in grado di esprimere una cultura architettonica e socio-urbanistica propria del nostro Paese?
In altri termini: è la mancanza di tale cultura a causare la assenza dalla ribalta degli architetti italiani o viceversa la cultura permane, ma gli architetti italiani non sono chiamati a rappresentarla?
Ed in questo caso, c'e' da chiedersi se la mancata formazione di una generazione di architetti, in grado di interpretare lo spirito dei tempi, trasfondendo in modo diffuso nell'architettura i valori e la cultura della nostra societa' (nel bene o nel male durante il periodo fascista gli architetti lasciarono nelle nostre citta' l'impronta del loro tempo così pure nel dopoguerra, come testimonia la Torre Velasca di Milano ), pur nel contesto del più generale fenomeno della globalizzazione, sia la conseguenza della debolezza della nostra politica e conseguentemente della politica culturale delle amministrazioni centrale e locali.
Insomma, per l'incapacita' della politica di far crescere un milieu di architetti italiani ( abbiamo qualche illustre eccezione ) dobbiamo assistere agli interventi sul nostro territorio, nelle nostre citta' e sui monumenti, di architetti stranieri il cui merito, talvolta, è quello di appartenere al "Circus" delle archistars che si riconoscono e si premiano tra loro ?
Sulla stessa linea Montanari: « Oggi i rappresentanti politici della comunità non hanno quasi mai, né la cultura, né la sollecitudine sociale necessarie per intavolare un vero dialogo con le star che ingaggiano: le quali, dal canto loro, non sono quasi mai (e Piano è un'eccezione positiva) interessate alla sfida di un limite sociale.
Come ha scritto Vittorio Gregotti, "il nesso tra pratica artistica e politica in quanto dottrina del dialogo sociale sembra essersi dissolto".
Ed è un paradosso che la progettazione della città non sia più un fatto politico: perché politica viene da polis, ed è cioè l'arte di costruire la città, la comunità dei cittadini. Certo, tutto questo ha invece molto a che fare con la politica deteriore, e con le amministrazioni corrotte e incapaci: ma non è una grande consolazione ».
Conclude Colombo Clerici:
“Ed anche le opere commissionate dai privati seguono la stessa sorte, a rimorchio delle opere pubbliche: per via della atavica propensione degli italiani al conformismo.
Il problema investe l'intera categoria professionale soprattutto perche', a seguito del processo di concentrazione della capacita' di operare a livello edilizio-urbanistico nelle mani di grossi gruppi, che trovano senz'altro molto comodo rivolgersi al grande nome straniero, in grado di far superare ogni diatriba domestica, gli architetti italiani saranno sempre più ridotti a progettare sottotetti, villette e ristrutturazioni di appartamenti .»